Contratti a tutele crescenti: torna la discrezionalità dei Giudici nella quantificazione del danno.

Contratti a tutele crescenti: torna la discrezionalità dei Giudici nella quantificazione del danno.

La Corte Costituzionale ha pubblicato le motivazioni della sentenza con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della normativa sul contratto a tutele crescenti, nella parte in cui stabilisce il criterio di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore in caso di illegittimità del licenziamento.
Oggetto di censura è l’art. 3, comma 1 del D. Lgs. n. 23/2015 (come modificato dal Decreto Dignità) che prevede - nei casi in cui risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa – la liquidazione a favore del lavoratore di un “importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità”.

Secondo la Corte Costituzionale, la suddetta disposizione contrasta, innanzitutto, con il principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione): la previsione di una misura risarcitoria uniforme, indipendentemente dalle peculiarità dei singoli casi concreti, si traduce in un’“ingiustificata omologazione di situazioni che possono essere – e sono, nell’esperienza concreta – diverse”.
Secondo la Corte Costituzionale, la predetta disposizione contrasta altresì con il principio di ragionevolezza: l’indennità legata all’anzianità di servizio – soprattutto nei casi in cui questa non è elevata – non è idonea a costituire un adeguato ristoro del concreto pregiudizio subito dal lavoratore a causa del licenziamento illegittimo; come tale, non è ritenuta idonea a dissuadere il datore di lavoro dal licenziare illegittimamente.

La Corte Costituzionale ha quindi concluso che “nel rispetto dei limiti, minimo e massimo (…) il Giudice terrà conto innanzi tutto dell’anzianità di servizio (…) nonché degli altri criteri (…) desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti)”.

Quanto stabilito dalla Corte Costituzionale era stato di fatto anticipato ed applicato da una recente pronuncia di merito (Trib. Bari 11 ottobre 2018). In quel caso il Tribunale, dando atto della intervenuta decisione della Corte Costituzionale – seppur non ancora depositata –, aveva determinato l'indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato in 12 mensilità, in relazione all'anzianità del lavoratore, al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'attività economica ed al comportamento e alle condizioni delle parti.

Ne consegue – quanto meno nelle aziende di medie-grosse dimensioni – che l’indennità di 6 mensilità non è più certa ma va considerata il minimo, ed il Giudice ragionevolmente quantificherà l’indennità risarcitoria in un numero superiore di mensilità.
Le aziende ed i datori di lavoro dovranno dunque prestare la massima attenzione anche nel caso di recesso in regime di tutele crescenti.


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